La psicodiagnosi è un processo che, attraverso la raccolta di informazioni sul paziente che richiede la valutazione, permette di arrivare ad una diagnosi psicologica. La diagnosi non è qualcosa di immutabile ma tende a cambiare nel tempo. Essa è inserita in un contesto relazionale che deve essere preso in considerazione poiché ne è alla base e la influenza; questo significa una buona diagnosi è possibile soltanto nel contesto di una buona relazione terapeutica.
La psicodiagnosi è un processo multi-dimensionale e multi-strumentale poiché, per ottenere informazioni adeguate sul soggetto, è necessario ricorrere a più strumenti di valutazione attraverso cui studiare i diversi aspetti della psicopatologia. La diagnosi categoriale viene effettuata in riferimento al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, edizione 5 (Apa, 2013).
La formulazione della diagnosi è importante per diversi motivi. Essa serve in primo luogo per condividere le informazioni raccolte sul funzionamento psichico di un paziente per mezzo di un linguaggio sintetico e comprensibile anche per clinici di formazione, orientamento teorico ed esperienza differenti. In secondo luogo, è necessaria per elaborare il piano di trattamento più adeguato per quel paziente e aumentare la probabilità che il trattamento sia efficace.
La comunicazione della diagnosi può inoltre avere un effetto rassicurante per il paziente che, attraverso la comprensione del problema che lo caratterizza, ha la possibilità di capire di cosa si tratta e di conoscere gli strumenti più adeguati per la cura del suo disturbo. Questo permette di stabilire una relazione terapeutica fondata sulla condivisione del problema, soprattutto nel caso di pazienti gravi, e su un maggiore coinvolgimento del paziente nel trattamento. Tuttavia, il rischio nella comunicazione della psicodiagnosi per alcuni pazienti può essere la paura dello stigma sociale. Quindi, per evitare l’etichetta diagnostica, è necessario nella restituzione della diagnosi utilizzare un linguaggio semplice e comprensibile dove, più che la diagnosi categoriale, è opportuno rimandare una descrizione delle modalità prevalenti di esperienza e di funzionamento che sia comprensibile al soggetto. Naturalmente, dove ci fosse una richiesta di diagnosi specificatamente categoriale, questa verrà effettuata attenendosi ai criteri del DSM-5.
Comunicare la diagnosi al paziente può essere anche un modo per valutarne la validità sulla base delle risposte e delle reazioni del paziente stesso. Questo modo di intendere la diagnosi favorisce la responsabilizzazione del paziente e sottolinea la natura processuale e collaborativa del processo diagnostico.
Il processo di valutazione psicodiagnostica segue un iter molto preciso. Innanzitutto il paziente effettua una primo colloquio con il terapeuta. Dopo il primo colloquio segue una somministrazione di test per chiarire meglio l’origine dei sintomi dato che spesso gli stessi sintomi si presentano in maniera trasversale a diversi disturbi. In seguito alla correzione dei test, viene effettuato un colloquio di restituzione dei risultati.
Per dare alla valutazione un aspetto multi-dimensionale e multi-strumentale la somministrazione dei test viene effettuata attraverso una batteria di test caratterizzata da scale di valutazione dei sintomi autosomministrate (domande alle quali il paziente risponde da solo per iscritto), e da un’intervista semi-strutturata (dove le domande vengono poste direttamente dal testista e il paziente risponde a voce).
American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing.